Celle solari di III generazione, incorporare materiali bidimensionali innovativi per aumentarne l’efficienza

Allo studio internazionale, pubblicato su Nature Materials, hanno lavorato ricercatori di “Tor Vergata”

 

 

Didascalia: rappresentazione illustrativa dello strato fotoattivo di perovskite modificato con gli MXeni

Un team internazionale di scienziati, provenienti dal Center for Hybrid and Organic Solar Energy (CHOSE) dell’Università Rona “Tor Vergata”, dal NUST MISIS in Russia (National University of Science and Technology) e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha proposto un originale approccio per la progettazione di celle solari a perovskite altamente efficienti. Guidati dal prof. Aldo Di Carlo, ordinario di Optoelettronica e Nanoelettronica dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e neodirettore dell’Istituto della Struttura della Materia del CNR, gli scienziati del CHOSE hanno scoperto che una quantità microscopica di carburo di titanio bidimensionale, chiamata Mxene, migliora significativamente la raccolta di cariche elettriche in una cella solare a perovskite, aumentandone l’efficienza finale di oltre il 20%. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Materials.

«Abbiamo scoperto che i MXeni, grazie alla loro struttura bidimensionale unica nel suo genere, possono essere utilizzati per ottimizzare le proprietà superficiali della perovskite – spiega il prof. Di Carlo – consentendo una nuova strategia di ottimizzazione per queste celle solari di III generazione».

La cella solare a film sottile di perovskite è un’innovativa tecnologia fotovoltaica che viene attivamente sviluppata in tutto il mondo come alternativa a quelle già commercializzate. Tra i tanti vantaggi vi sono i semplici processi di produzione a basso costo (possono essere realizzate infatti con speciali stampanti a getto d’inchiostro), nonché la possibilità di fabbricazione su substrati di plastica flessibili, come il polietilentereftalato comune (PET), che permette la sua integrazione negli edifici su pareti o in diverse altre posizioni, come facciate e finestre curve.

«Per migliorare l’efficienza delle celle solari a perovskite, è necessario ottimizzare la struttura del dispositivo, in particolare le interfacce e le proprietà di trasporto di carica di ogni singolo strato – afferma Antonio Agresti, ricercatore del Dipartimento di Ingegneria Elettronica, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” -. A questo scopo, insieme ai nostri colleghi moscoviti, abbiamo eseguito una serie di esperimenti incorporando una microscopica quantità di MXeni nella cella solare a perovskite. Di conseguenza, abbiamo ottenuto un aumento dell’efficienza dei dispositivi di oltre il 25% rispetto ai prototipi originali».

I ricercatori hanno scoperto che l’incorporazione degli MXeni all’interno della struttura della cella solare a film sottile di perovskite, che ricorda quella di un sandwich, migliora il trasporto degli elettroni. All’interno di questa particolare struttura le cariche si spostano da uno strato all’altro attraverso le interfacce e si raccolgono selettivamente agli elettrodi, convertendo così la luce solare in corrente elettrica. l’incorporazione degli MXeni riduce drasticamente le perdite eventualmente indotte da barriere energetiche interne.

«L’unicità di questo lavoro –sottolinea Di Carlo – consiste nel descrivere, per la prima volta, non solo una serie di esperimenti e i rispettivi risultati ottenuti ma anche nel fornire una chiara spiegazione dal punto di vista fisico-chimico dei meccanismi che si verificano nella cella solare a perovskite modificata con i gli MXeni».

Gli MXeni sono stati introdotti sequenzialmente nei diversi strati della cella solare: nello strato foto-assorbente, in quello di trasporto di elettroni a base di biossido di titanio e all’interfaccia tra di essi. Dopo aver analizzato le prestazioni fotovoltaiche dei dispositivi, si è scoperto che la configurazione più efficiente è quella in cui gli MXeni sono introdotti in tutti gli strati, inclusa la loro interfaccia. I risultati sperimentali sono confermati da un’adeguata modellizzazione delle strutture ottenute. Attualmente, il team sta cercando di stabilizzare il dispositivo ottenuto e di aumentarne l’efficienza

«La possibilità di utilizzare in modo semplice questi nuovi materiali bidimensionali, modificando le proprietà elettro-ottiche degli strati che formano un dispositivo elettronico in base a specifiche esigenze di progettazione – commenta Sara Pescetelli, ricercatrice del centro CHOSE -, può ispirare architetture innovative per celle solari altamente efficienti o per altri dispositivi come LED e rilevatori basati sulla perovskite».